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In occasione del Black History Month abbiamo voluto calare le riflessioni su identità, razzismo e diritti civili nel contesto italiano, attraverso le testimonianze e le esperienze di persone afroitaliane.

Ecco cosa ci hanno detto rispetto a diversi temi, quali rappresentazione, eurocentrismo e quella tendenza molto italiana a considerare il razzismo sistemico come un problema solamente di chi vive Oltreoceano, ignorando questioni tanto urgenti quanto irrisolte quali lo Ius Soli.

Oggi vi riportiamo le parole di David Blank, cantante e musicista marchigiano che si sta facendo strada nel mondo della musica e che abbiamo avuto con noi in occasione dei Diversity Media Awards 2020. Tra le sue canzoni più conosciute ci sono “Standing in line” e “Foreplay”, mentre è solo di qualche mese fa la sua interpretazione di “Vero amore” nel film Disney Pixar “Soul”. Attraverso i suoni RnB, soul e afrobeat esplora sentimenti universali quali l’attesa, la solitudine, l’introspezione e la metamorfosi. Alla sua carriera artistica Blank affianca un grande impegno nell’attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica: lo trovate su ig come @davidblankofficial

 

Il Black History Month nasce come ricorrenza americana e nel nostro Paese c’è ancora poca consapevolezza a riguardo: qual è l’importanza di parlarne anche in Italia e di declinarlo sulla nostra storia?

É essenziale che una ricorrenza come questa acquisti sempre più attenzione, anche in Italia. Le nostre facce e le nostre vite sono parte integrante della storia del nostro paese. È necessario parlarne per sfatare il mito del “nero italiano” come immigrato arrivato qui dieci anni fa. Dobbiamo raccontare chi siamo per decostruire questa struttura che identifica soltanto nell’immigrazione l’identità delle persone nere.

 

Come c’è chi parla di un ‘Etero Pride’, si sentono spesso posizioni riconducibili all’idea #AllLivesMatter in opposizione a #BLM. Perché ci serve un Black History Month? Perché distinguerci se siamo tutt* uguali?

Coloro che parlano di “Etero Pride” e #AllLivesMatter non colgono la contraddizione nell’idea di battersi per i diritti di persone etero che sono poste al centro della struttura sociale stessa.

Ci serve un BHM perchè siamo tutt* uguali ma manca equità. La storia del “se sono nero e tu sei bianco e ci tagliamo un dito il sangue è dello stesso colore” è bella ma rimane un concetto prettamente fisico. Serve un nuovo passaggio concettuale al “se io mi tagliassi un dito ed una persona bianca si tagliasse un dito, come si relazionerebbe o reagirebbe la società italiana a queste due situazioni?”

 

La storia che insegnano a scuola è spesso eurocentrica e aderisce a una narrazione stereotipata (white saviorism e white washing). Quanto ha influito questo nella tua esperienza e sulla sensibilità italiana in generale?

Mi ha creato un sacco d’imbarazzo a scuola. Ricordo un episodio in particolare, un giorno vidi sul mio atlante una foto della Nigeria e mi resi conto che comparivano solo capanne. Ricordo il mio stupore, ero già stato nel paese con la mia famiglia e non volevo che i miei compagni credessero che quella era l’unica vera Nigeria. Ho voluto difendermi ed educare i miei compagni sulla veridicità di quelle rappresentazioni. Ho raccontato che in Nigeria, villaggi e capanne si accompagnano anche a grandi metropoli come in Europa.

Credo ci sia ancora tanta strada da fare a questo proposito.

 

Spesso in Italia si pensa che il razzismo sistemico sia un problema prettamente statunitense e che ‘qui le cose sono molto diverse’: cosa ne pensi? Quali sono le questioni che riguardano nello specifico la situazione italiana?

Certo che sono diverse, da un certo punto di vista sono anche peggiori. Basti pensare al fatto che se un bambino nasce in Italia non è considerato italiano dallo stato e che i figli di immigrati, regolari e non, siano costretti ad affrontare difficoltà e ostacoli burocratici, a scuola, sul lavoro, nel caso in cui non riescano a dimostrare di aver vissuto 18 anni continuativi in questo paese. Esiste un razzismo più sistemico di questo?

 

Il tema di quest’anno è la Black Family. Ti è capitato di trovart* davanti a degli stereotipi sull’idea di famiglia nera qui in Italia?

Se devo dire tutta la verità, perché esistano degli stereotipi di famigli nera in Italia, dovrebbe innanzitutto esistere un minimo di rappresentazione della famiglia nera italiana. Stiamo ancora costruendo una rappresentazione autentica e dignitosa dell’individuo ner* italian*, l’idea di un nucleo familiare sarebbe pura avanguardia in questo momento.

 

Che ruolo hanno i media, sia di informazione che di intrattenimento, nel perpetuare questo immaginario?

Sono convinto che i media siano essenziali in questo periodo, soprattutto per umanizzare la nostra identità e le nostre storie.

Dobbiamo essere parte dei media, entrarci e sfruttare ogni canale per emanciparci da quella visione che ci identifica come numeri soltanto, “invasori” del territorio italiano, il nero che spaccia, che non parla la lingua. Dobbiamo raccontare e mostrare le nostre storie, storie di normalità e vita quotidiana, raccontiamo il nero che lavora come commesso, come medico, individui, lavoratrici e lavoratori, cittadine e cittadini, italian*.

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