Immagini da un coming out

Per una ragazza a cui piacciono le ragazze, crescere in Ecuador non è il migliore dei contesti. È un Paese incantevole e ricco di tradizioni, ma che deve fare ancora molta strada nell’ambito dei diritti agli omosessuali. Così, giorno dopo giorno, Paola si sentiva sempre più diversa e quindi sbagliata rispetto a una società che non la rispecchiava né riconosceva. Nascondere il suo “segreto” era diventato una consuetudine, quasi l’unico modo di vivere che concepiva. Ma coltivare passioni può allargare la mentre oltre che il cuore, ed è quello che è successo a Paola Parades, che da artista grafica si è lasciata incuriosire dalla fotografia e ne è diventata un’eccellente esponente.

In particolare era attratta dai fotografi che puntavano l’obiettivo su loro stessi, che si mettevano al centro del loro messaggio, diventando il messaggio stesso. Fu così che venne a conoscenza di un lavoro fotografico intitolato “Sguardi rubati: le lesbiche fotografano“. Questa raccolta di scatti esprimeva la sessualità di quelle donne senza mille parole ma con semplici essenziali immagini. E Paola capì che era esattamente ciò che stava cercando, e ne trasse ispirazione per realizzare il suo lavoro, che intitolò “Unveiled“, rivelazione.

Da sempre le piaceva raccontare storie, ma quella che ancora non aveva raccontato era la propria. Decise così, a 29 anni, di fare coming out con i suoi genitori (le sue due sorelle erano già al corrente della sua omosessualità). Sarebbe stata la storia più vera ma più rischiosa che potesse scrivere: in palio non c’era solo la fama come fotografa, bensì la stima come figlia. La sua penna era la macchina fotografica, il suo foglio bianco la sua casa. Chi conosceva le sue intenzioni aveva le reazioni più diverse: qualcuno la incitava a proseguire, qualcuno a fermarsi e qualcuno chiedeva se l’attrezzatura fotografica fosse assicurata in caso di rottura.

Nei giorni precedenti al coming out Paola fotografò la quotidianità della famiglia, per abituarli alla presenza della macchina fotografica. Poi un giorno prese tre macchine fotografiche, le fissò nel modo meno invadente possibile attorno al tavolo da pranzo e le impostò perché scattassero in automatico ogni cinque secondi per tre ore. Poi fece riunire la sua famiglia attorno al tavolo e iniziò  a raccontare loro se stessa. Le foto hanno catturato gli occhi pieni di lacrime per un dolore e una vergogna cresciuti negli anni, gli abbracci di chi ti ama indistintamente e aldilà di ogni cosa, le mani intrecciate in legami senza tempo e spazio, e il fumo di sigarette che si spande testimoniando una liberazione da catene invisibili ma pesantissime.

Paola non si è mai pentita di aver raccontato la sua storia, e se il finale fosse stato diverso, avrebbe comunque potuto dire di averci provato. “Se la mia storia servirà anche a una sola persona a uscire dal guscio, allora avrò raggiunto il mio obiettivo“.
La differenza la facciamo noi, in Ecuador come in Italia. Sono la forza e il coraggio del singolo individuo che possono cambiare le cose, con un inimmaginabile effetto domino. Non vergogniamoci di raccontare la nostra personale storia, e impegniamoci per scriverne attivamente le pagine, senza farci strappare la penna di mano.
Il finale dipende da ogni singola riga scritta.

32 anni, infermiera. Amo viaggiare,scrivere e leggere. Adoro Stefano Benni e il cioccolato, e sul comodino ho sempre almeno uno dei due. Ho due pesci rossi: Cacio e Pepe. Vola solo chi osa farlo.

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