Intersessualità in prima persona

In quanti sanno cosa significa intersessualità? Nemmeno Claudia Astorine, intersessuale dalla nascita, ne conosceva il significato. Perché quando si nasce in un certo modo, e in quel modo si sta bene, non viene da chiedersi se siamo uguali a tutti gli altri, e nemmeno ci importa di esserlo. E, tantomeno, viene da chiedersi se esiste un nome per classificare (ebbene si, ancora una volta, classificare!), il nostro modo di essere, dentro e fuori. Sì, perché l’intersessualità riguarda il corpo in modo sia esteriore (apparato genitale, peluria e/o tratti secondari) che interiore (cromosomi).  Le persone intersessuali nascono con caratteristiche differenti da quella che viene considerata la “normalità” cromosomica e dell’apparato genitale. Non esiste un solo modo in cui l’intersessualità si presenta: ci sono infatti moltissime forme diverse in cui si manifesta, ma ciò che le accomuna è la difficoltà che molte persone hanno ad accettare la coesistenza in un solo corpo di peculiarità maschili e femminili, benché queste non rappresentino in alcun modo uno stato patologico ma semplicemente atipico.

Claudia è nata con il seno, la vagina, senza utero e con i testicoli e un cromosoma Y.

A poco più di un anno di vita, un medico ha deciso che era meglio asportarle i testicoli, e la famiglia ha acconsentito per due ricorrenti motivi:  si è fidata dell’opinione del medico (in quanto lo si considerava consapevole e cosciente della materia), e la non approfondita conoscenza dell’intersessualità (data la loro provenienza da un piccolo paese e la scarsità di informazione in merito, ieri ancor più che oggi).
L’intervento che Claudia ha subìto è abbastanza consueto ma non sempre necessario, anzi talvolta è dannoso: i testicoli di alcune ragazze intersessuali, infatti, crescono nella cavità pelvica al posto delle ovaie, e hanno la capacità di trasformare il testosterone che producono in estrogeni, equilibrando autonomamente il fabbisogno ormonale del corpo. In questo specifico caso, rimuovendoli si creerebbe un deficit ormonale all’organismo che dovrebbe sopperirlo con l’assunzione di una specifica terapia farmacologica, la quale a volte non basta per evitare disfunzioni nella vita sessuale e/o emotiva del soggetto. Si creerebbe, in poche parole, un danno permanente che prima dell’intervento non c’era. Ci sono invece altri casi in cui la presenza di testicoli interni può portare alla formazione di ernie o stati cancerosi, ma ogni caso va analizzato singolarmente in quanto la prevenzione tramite rimozione dell’organo non si rivela sempre la scelta giusta. È necessario sapere che si interviene su una situazione patologica prima di operare, come in qualsiasi altro intervento.

Nei casi di intersessualità, invece, spesso appare lecito ricorrere alla chirurgia per una semplice necessità di poter catalogare il corpo come maschile o femminile, eliminando – secondo dubbi criteri – una delle due parti, per “risolvere un problema” che non sussiste. È infatti molto difficile se non impossibile sapere in un periodo così vicino alla nascita qual è il sesso di appartenenza del bambino e di quale invece può fare a meno. E soprattutto, in pochi riescono ad accettare che esistono persone che non si catalogano in uno dei due poli maschile o femminile, bensì nel centro. Si tende spesso a non ammettere l’esistenza di cose che semplicemente non si conoscono. Operando i bambini in età molto precoce anche quando non occorre, si diminuisce inoltre la casistica di adulti intersessuali, che sarebbero importanti esempi per studi che tutt’oggi scarseggiano, e che dimostrerebbero ulteriormente lo stato non patologico di questo modo di essere non sbagliato, ma semplicemente differente.

Purtroppo, l’iniziativa di operare bambini sani e che non sono ancora in grado di partecipare ad una fondamentale scelta di vita che viene loro imposta, parte spesso anche dai genitori degli stessi. La scarsa conoscenza dell’argomento, infatti, crea senso di vergogna e di omertà in famiglie dove il dualismo uomo-donna viene rispecchiato in tratti biologici che non ammettono, per esempio, una figlia con i cromosomi femminili, il seno, ma anche il pene. E spesso la paura e l’ignoranza portano a cercare la via più rapida per giungere a quella che viene considerata la normalità corporea.

Claudia da quando ha vent’anni fa parte di gruppi di attivismo LGBTQI, che si impegnano quotidianamente per diffondere la conoscenza di questo argomento tanto ostico e lottano per il diritto di queste persone all’autodeterminazione, senza dover scegliere di personificare il genere maschile o quello femminile ma, semplicemente, vivendo come se stessi.

32 anni, infermiera. Amo viaggiare,scrivere e leggere. Adoro Stefano Benni e il cioccolato, e sul comodino ho sempre almeno uno dei due. Ho due pesci rossi: Cacio e Pepe. Vola solo chi osa farlo.

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